Il filosofo pratico


Scrivere o parlare di sé è nello stesso tempo la cosa più semplice e la più difficile da fare. Siamo tutti fatti di esperienze personali che conosciamo e ricordiamo meglio di ogni altro argomento appreso, viviamo il nostro quotidiano raccontando di noi agli altri, ogni gesto ed ogni parola raccontano il nostro temperamento, la nostra sensibilità, le nostre passioni, i nostri valori, le nostre conoscenze e le nostre convinzioni. Eppure risulta davvero complicato “metterci per iscritto”. Tutto questo per varie ragioni, tra cui la complessa costruzione di un'identità variegata, contro cui spesso siamo persino in contrasto... 

Ma torniamo a me, chi sono io? Cos'è che ci rende tutti unici su questo bel pianeta? Per quali ragioni mi percepite come altro da voi e in qualche maniera connesso alla vostra rete? [È incredibile pensare alla stravaganza che ci collega. È come se ci fosse il più elaborato degli algoritmi dietro al groviglio di affinità che ci tiene uniti o divisi. Con degli amici condivido serate condite di risate e buona cucina, eppure non sanno nemmeno come si chiamano i gruppi musicali in cui suono o in cosa consista concretamente il mio percorso di ricerca o il mio personale approccio alla filosofia pratica, ed è giusto che sia così. Con i gruppi di pratiche Zen raggiungiamo una profonda intimità senza sapere quasi nulla l'uno dell'altro, ci vogliamo bene nell'incontro ed è un potente caricabatterie dell'anima. Ho degli amici storici che invece sanno un sacco di cose di me, ma non hanno fatto esperienza diretta della mia spiritualità. Sono fili di colore diverso che ci tengono uniti: c'è il filo della musica, quello della filosofia, quello dell'amore, quello della fede, quello dell'umorismo, quello della tavola, quello del cinema, e chi più ne ha più ne metta. Siamo tutti interconnessi da questi fili colorati e invisibili, con alcune persone ne abbiamo tantissimi, con altre di meno, ma c'è sempre qualcosa che tiene uniti gli uomini, persino quelli che si credono nemici]. Potrebbe sembrare una lunga parentesi al fine di prender tempo nell'attesa di una campanella che mi liberi dalla risposta. Ok, allora potrei dare una risposta semplice e liberatoria: sono quello che c'è scritto nel mio "curriculum vitae europeo". Oppure sono "una figura in terza persona” (Luigi Baldassarre si laurea in filosofia col massimo dei voti, bla-bla-bla, bla-bla-bla...), ma chi sarebbe questa "terza persona"? Forse un altro, non certo io, potrebbe essere il personaggio di un racconto tratto da una storia vera, un estraneo pedinato ed osservato per anni, una vittima di stalking conoscitivo. Per i più curiosi o per i più "istituzionali" metterò in un allegato una descrizione più accademica del percorso fatto da quel Luigi Baldassarre, ma questo spazio è diverso, non ha schemi da seguire, regole indicate, percorsi già tracciati, qui posso lasciarmi andare alle risposte più spontanee o persino mettere in crisi il modello della definizione. Aristotele ci ha insegnato i termini della definizione, strumenti ottimi per la catalogazione scientifica, ma possiamo definire gli individui? Io amo particolarmente i peperoni fritti se di colori diversi, tagliati in piccoli pezzi e con la mollica di pane, è importante per la definizione di chi sono? Dovrei scriverlo in questa presentazione?

La consapevolezza di sé è una grande risorsa per vivere meglio, permette all'individuo di seguire una direzione di crescita personale e professionale, assecondare le proprie inclinazioni o rivedere gli aspetti relazionali quando non danno i risultati sperati. Ma si tratta di consapevolezza momento per momento, dei nostri pensieri, delle parole che usiamo, delle sensazioni che proviamo, delle reazioni che generiamo intorno a noi. Questa è la vera conoscenza, non gli stereotipi che abbiamo creato tutti noi per definirci, sul modello dei segni zodiacali. Il migliore destino possibile è “divenire ciò che si è”, ciò che ci rende unici, irripetibili. La natura ci dà già una mano nel disegnarci con caratteristiche estetiche differenti (gemelli a parte), ma c'è un bel lavoro da fare per liberarsi di tutte le maschere che abbiamo scelto di indossare allo scopo di essere accettati o di somigliare ad un genitore, ad un cugino, ad un amico, ad un cantante, ad un attore o ad altre figure di riferimento. 

 

Non ho ancora risposto, vero?

 

Sin da bambino mi davano del “maturo”, ai tempi dell'università a “maturo” si è sostituito “saggio”. Amici, parenti e conoscenti si confidavano spontaneamente, mi chiedevano consigli su come affrontare determinate situazioni, su come gestire momenti importanti ed emozioni travolgenti. Ho sempre preso seriamente queste richieste, nonostante l'età, ascoltando di tutto, persino amiche che andavano in loop. Senza particolare esperienza e privo di strumenti filosofico-pratici, da questa disponibilità all'ascolto e ai “saggi consigli”, mi ritornavano indietro delle ottime gratificazioni. All'università, la ricerca della saggezza mi porta a scegliere Lettere e Filosofia e dopo la laurea gli incontri mi fanno conoscere e praticare le discipline orientali (il Qi Gong, il Thai Chi e soprattutto la Meditazione Zen), e ad approfondire la comunicazione umana in tutte le sue forme. Le difficoltà della vita, nonostante la giovane età, mi hanno costretto a mettere in campo tutte le risorse di cui disponevo per aiutare me stesso e le persone a me più vicine, e mi hanno portato a capire quale fosse il momento di portare nel mio lavoro tutto questo.

 

Sono giunto anche a rileggere in modo nuovo delle qualità che mi contraddistinguono e che non sempre giudicavo come positive. Una fra tutte quella di sentirsi non del tutto calato in un contesto. Sono sempre stato bene con i gruppi più svariati, ma spesso ero visto come un mezzo intruso dai più “ortodossi”. Quando ero adolescente frequentavo ragazzi con cui ci si nascondeva per fumare droghe leggere, ma io non ho mai fumato, e per me non era un problema, per qualcun altro lo era. La stessa cosa mi accadeva coi “puritani”, io ci stavo bene, ma non venivo visto totalmente come loro, perché le mie idee non erano allineate o non vestivo come loro. Un altro esempio? Non ho mangiato la carne per otto anni e questa scelta mi faceva percepire in svariati contesti ad una certa distanza da alcuni “carnivori” e alla stessa distanza da alcuni vegani, soprattutto quando scattavano le domande o le provocazioni fuori luogo. Per non parlare dei contesti “spirituali”, perché non sono ateo, anzi, forse sono il contrario dell'ateo, mi definisco “sincretico”, cerco il filo che unisce tutte le religioni. La mia fede è il risultato di tante influenze da Oriente a Occidente, con un occhio di riguardo per la Cristianità, tradizione che mi ha allattato, e per il Buddismo Zen, che mi ha regalato delle pratiche di consapevolezza straordinarie, ma scappo (e forse sbaglio) quando si diffonde il virus del bigottismo nei gruppi di aggregazione. In ambito universitario era la stessa cosa, con la maggior parte dei colleghi che sbavava dietro a ricerche e docenti che a me non dicevano proprio nulla. Idem in politica e in altri contesti.

Solo oggi riesco a dare valore e a definire questa qualità, che non è anticonformismo a tutti i costi, si chiama libertà. Questa forma di libertà mi ha fatto prendere tante porte in faccia. Generalmente si tende a premiare la persona perfettamente allineata. Sentirsi un pesce fuor d'acqua non è piacevole, ma col tempo non ho più provato questa sensazione, ho percepito l'oceano, con le sue differenze, le sue correnti, si è acuito l'istinto che mi tiene lontano dai predatori e più vicino a voi, con le vostre specificità e la vostra ricchezza di sfumature.] 

 

E allora cosa aggiungere? Aggiungo che ho capito nel tempo l'importanza della leggerezza. Ho sempre avuto la fortuna di riuscire a ritrovare il sorriso nelle vicende più assurde e indigeste di cui siamo vittime e protagonisti (non senza aver attraversato la disperazione, la depressione e le forti incazzature nei confronti delle persone, del mondo e di Dio).

 

Oggi so che ogni quadro della situazione ha bisogno della cornice giusta. Ho indagato il potere di questo strumento e ho deciso di utilizzarlo e di trasmetterlo nella relazione d'aiuto. Ho visto coi miei occhi il potere del sorriso sincero nelle situazioni più difficili, naturalmente abbracciato all'empatia e alla comprensione dell'altro.

 

Come un po' tutti noi, ho scoperto tardi l'interesse pratico per la felicità. È incredibile, non credete? Si pensa a tutto, non facciamo altro che pensare, soprattutto noi filosofi, ma non pensiamo a come essere felici, perché ci sembra un'utopia, qualcosa di ideale, un'aspirazione, o a volte perché reifichiamo la felicità, la trasformiamo in oggetti raggiungibili in negozio.

 

Ovviamente sono tante altre cose, ho anche dei difetti, ma sono "generoso", lascerò a voi il piacere di scoprirli.

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